Si chiama David Zaruk, ma è più noto come Risk-Monger, ovvero la declinazione sui rischi del famigerato 'fear mongering', traducibile come l’attività di seminare news allarmanti per creare paura nelle persone e poi sfruttarla per fini tutt’altro che nobili. David Zaruk, il Risk Monger, fa l’opposto: combatte il fear mongering.
Un comunicatore dal curriculum interessante.

Dal 2000 Zaruk è specialista per la Comunità europea per la comunicazione sui rischi e sulla scienza. Attivo negli eventi politici dell’Ue, dal regolamento Reach alla direttiva sui pesticidi, dalle questioni legate alla scienza per come viene percepita dalla società, all'uso del 'principio di precauzione'.

È stato anche membro del team che ha istituito GreenFacts, finalizzato a incoraggiare un più ampio utilizzo dei processi decisionali basati sulle evidenze scientifiche nella Ue in materia di salute ambientale.

David è inoltre professore aggiunto presso l’Université Saint-Louis Brussel e Kul Brussel (Odise), dove ha tenuto lezioni su Risk communications, lobbying e comunicazione aziendale. Inoltre fa formazione e tiene conferenze, specialmente sulla percezione del Risk management.

A questo link, la traduzione integrale dall'inglese del suo post in cui spiega i retroscena legati alla faccenda glifosate, focalizzando soprattutto sui cosiddetti 'Pointer Papers', ovvero le rivelazioni imbarazzanti emerse su Christopher Portier, colui il quale, sebbene attivista di un'associazione ecologista anti-pesticidi – e non sapesse alcunché di glifosate, per sua stessa ammissione – è riuscito a farsi nominare presidente della Commissione dello Iarc che ha deciso di mettere sotto indagine glifosate.
Ha potuto cioè influenzare il gruppo di lavoro dei 17 esperti dell'Agenzia, salvo poi firmare un contratto come consulente di parte con uno studio legale che aveva già pronta una Class Action contro Monsanto. La cifra pattuita? 160 mila dollari. Giusto per capire che i conflitti di interessi sono spesso percepiti solo a senso unico.

Dove sta l'inghippo? Portier l'avrebbe firmato la medesima settimana in cui è stata resa pubblica la Monografia dello Iarc che dichiarava glifosate 'probabile cancerogeno'. In altre parole, Portier è ora sospettato di qualcosa di simile a quello che in Borsa viene definito 'Insider trading', ovvero la possibilità di lucrare personalmente in Borsa sapendo già (e influenzando pure) gli andamenti dei titoli quotati.

I 'Portier Papers' giungono quindi dopo i 'Monsanto Papers', ove si accusava la Casa di St. Louis di influenzare il lavoro di alcuni scienziati. Nel mezzo sono emersi quindi gli 'Aaron Blair Papers', ovvero gli studi rimasti nel cassetto dell’epidemiologo del Cancer Research Center americano anziché essere pubblicati e resi in tal modo valutabili dallo Iarc.

Blair sarebbe stato anche Chairman del gruppo di lavoro Iarc che ha giudicato il glifosate cancerogeno (linfomi non-Hodgkin) e nonostante ciò, per motivi ancora tutti da chiarire, ha taciuto dell'esistenza di lavori epidemiologici validi e robusti che deponevano a favore dell'innocenza dell'erbicida. Lavori che quindi il gruppo Iarc non ha potuto nemmeno vedere.

Il tutto, a dimostrazione del clima decisamente opaco, sospetto e avvelenato che si è agitato su glifosate, tanto da concludere che la monografia attuale dello Iarc sia gravata da così tanti scandali e interessi, sia stato così influenzato in modo torbido e sottile, da non essere più considerabile valido da qualsiasi punto di vista.
Quella monografia va ritirata senza ulteriori indugi.
Per l’onorabilità dell’Oms innanzitutto, ancor prima che per l’equità di giudizio su glifosate. Un'equità di giudizio che è stata fin da subito la grande assente in tutto il groviglio di 'intrallazzi' che su questo erbicida si agitano da anni.

Urge cioè rifarla da capo, magari componendo un gruppo di lavoro diverso da quello precedente. Possibilmente al di sopra di ogni sospetto, non infiltrato cioè da alcuna longa manus né di aziende, né di associazioni ambientaliste dichiaratamente schierate contro l’oggetto della valutazione.
Soprattutto, dovrebbe essere riprodotta analizzando anche tutti quei lavori tenuti nascosti al turno precedente, eliminando quelli palesemente inconsistenti che invece avrebbero condannato l’erbicida.
Perché uno studio epidemiologico basato su sette persone (Hardell & Eriksson, 1999), quattro esposte a glifosate e tre no, dovrebbe essere utilizzato come succedaneo di un qualsivoglia tipo di carta, tranne che come lavoro scientifico atto a valutare la cancerogenicità di una molecola.

Il prossimo voto su glifosate nasce su tali presupposti, su tali armeggi e su tali interessi. Sarà quindi in grado la politica europea di capire ora che dire No a glifosate potrebbe essere imbarazzante addirittura per lei stessa?

Clicca per leggere il controinterrogatorio di Portier in lingua inglese.