Nella fase di programmazione della loro attività, gli agricoltori devono assumere molte decisioni inerenti agli aspetti produttivi, fra cui la varietà da impiegare in funzione di una serie di valutazioni tecniche, economiche ed ambientali. Inoltre, per molte colture un numero significativo di imprenditori agricoli si interroga se affidarsi ad una semente certificata oppure al seme autoprodotto.

E' questo un argomento di dibattito che vede da un lato gli agricoltori che preferiscono spendere qualcosa in più ma avere maggiori garanzie, ad esempio dal punto di vista della sanità e della germinabilità. Dall'altra quelle persone che preferiscono puntare su un risparmio immediato di qualche euro esponendosi però ad alcune incognite, come la possibile insorgenza di malattie e una minore produttività.

Cerchiamo dunque di fare chiarezza mettendo a confronto seme certificato e autoprodotto. Ma prima chiariamo bene che cosa significano questi termini.

Il seme certificato, come dice il nome, è certificato dal Crea-Dc (Centro di Ricerca difesa e sperimentazione), un ente pubblico vigilato dal Mipaaft che esegue ispezioni nei campi destinati alla moltiplicazione delle sementi per controllare che le piante non presentino patologie o infestanti nella granella e che soddisfino i requisiti di distinguibilità e uniformità. La semente così ottenuta viene poi conciata industrialmente per garantire protezione fin dalla messa in dimora.

Le sementi autoprodotte invece provengono dal raccolto dell'anno precedente dell'agricoltore e vengono vagliate nell'azienda agricola, per escludere cariossidi danneggiate e semi di infestanti. Anche la concia avviene, nella maggior parte dei casi, con metodi non industriali e la qualità dello stoccaggio varia da azienda ad azienda, a seconda delle possibilità e della sensibilità dell'agricoltore.
 

Vantaggi e svantaggi di utilizzare un seme certificato o autoprodotto

Economicità. Sul tema del costo si sono spesi fiumi di parole per mettere a raffronto il seme certificato, affidabile e pronto all'uso, e quello aziendale, più economico ma meno performante. Dai dati forniti da Assosementi e da organi di informazione indipendenti si può affermare che il seme certificato costa di più, ma la spesa si ripaga velocemente.

Secondo la tabella di Assosementi che riportiamo di seguito, tenendo conto di tutte le lavorazioni e i prodotti necessari ad ottenere un seme aziendale, la differenza è di 18 euro ad ettaro per il frumento tenero e di 25 per quello duro. Una differenza di prezzo (pari al 2% dei costi complessivi di produzione) che viene ampiamente compensata dai vantaggi che il seme certificato assicura.

Tabella differenze frumento tenero e frumento duro

Purezza genetica. Gli organismi competenti certificano che il seme raccolto in campo risponde ai requisiti di purezza genetica. In questo modo l'agricoltore ha maggiori garanzie per la sua produzione in campo. Ma non solo, nel caso del frumento duro, ad esempio, l'utilizzo del seme certificato è il prerequisito perché si possa accedere al Fondo grano duro, che riconosce un aiuto che può arrivare a 200 euro ad ettaro per l'azienda che aderisce ad un accordo di filiera.

Purezza fisica. Le ditte sementiere assicurano che all'interno dei sacchi non ci siano semi di altre specie e varietà oltre a quelle indicate in etichetta. Nel caso di impiego di seme aziendale, che è privo di controlli ufficiali, il rischio concreto è che in campo, oltre alla coltura di interesse commerciale, vengano sparsi anche semi di infestanti il cui controllo potrebbe richiedere un uso maggiore di diserbante.

Sanità. Gli ispettori del Crea-Dc certificano che le sementi sono prive delle principali patologie, ad esempio quelle fungine, come il Fusarium, primo nemico del frumento. Oppure, nel caso del riso, che non siano presenti nematodi.

Germinabilità. I campi destinati alla moltiplicazione vengono gestiti con estrema cura e la granella ottenuta viene raccolta e stoccata in modo rigoroso. Questo permette alle ditte sementiere di assicurare una germinabilità maggiore (fino al 30% rispetto alle sementi aziendali) che si traduce in un impiego minore di seme per ettaro.
 

Dal costo al valore

Per decidere dunque se valga la pena o meno utilizzare sementi certificate bisogna passare dal concetto di costo a quello di valore. Ogni agricoltore dovrebbe infatti mettere su un piatto della bilancia il prezzo della semente certificata e sull'altro il suo valore: sanità, germinabilità, certezza della varietà utilizzata, tracciabilità, purezza fisica e genetica, efficacia della concia, facilità d'uso e minor lavoro necessario.

Nelle valutazioni dell'agricoltore dovrebbero poi entrare altre due considerazioni. Primo, che l'innovazione genetica ha un costo. Se oggi possiamo contare su varietà in grado di produrre otto tonnellate di frumento ad ettaro è perché nel corso degli anni le ditte sementiere hanno investito ingenti risorse per selezionare le varietà più performanti.

Secondo, la legge. La vendita, l'acquisto e lo scambio di seme non certificato è illegale. Tutte le sementi delle principali specie agrarie commercializzate devono essere ufficialmente certificate. Per quanto riguarda il riutilizzo del seme di varietà tutelate bisogna distinguere tra il piccolo e il grande agricoltore. Per il secondo, il reimpiego delle sementi delle principali specie tutelate da privativa europea comporta il pagamento di royalties ridotte ai detentori della privativa, mentre nel caso di privative nazionali il reimpiego non è previsto.