Se di colpo tutti i microrganismi che vivono nel nostro corpo scomparissero, all'uomo rimarrebbero pochi giorni di vita. Lo stesso vale per le piante con i quali funghi e batteri costruiscono rapporti di mutuo interesse. E anche gli insetti sopravvivono grazie ai servizi offerti dai microrganismi.

I batteri sono ad esempio responsabili della degradazione della sostanza organica in campo e la rendono biodisponibile alle piante. I funghi micorrizici collaborano con l'apparato radicale vegetale per esplorare il terreno e assorbire risorse. Altri batteri ancora producono fitormoni che promuovono la crescita o inviano messaggi che avvertono le piante della presenza di patogeni.

Se il ruolo dei microrganismi nella crescita delle piante è noto ormai da tempo, solo negli ultimi anni si stanno davvero intuendo le potenzialità del microbiota, termine utilizzato per indicare la varietà di comunità microbiche che vivono in simbiosi con un altro essere vivente.

"Nello studio del microbiota fino a pochi anni fa potevamo prendere in considerazione solamente quegli organismi coltivabili in laboratorio, che sono una minima parte di quelli presenti sulla pianta. Oggi con le moderne tecniche di sequenziamento del genoma siamo invece in grado di studiare tutti i microrganismi", racconta ad AgroNotizie Paola Bonfante, professoressa del dipartimento di Scienze della vita e biologia dei sistemi dell'Università di Torino, che di questo argomento ha parlato durante il Mantova Food&Science Festival. "In particolare due ricerche pubblicate nel 2012 su Nature hanno illustrato la varietà delle comunità microbiche associate ad Arabidopsis e hanno così aperto la strada ad una molteplicità di nuovi filoni di ricerca che sembrano essere molto promettenti".

Paola Bonfante, partiamo dall'inizio: che cos'è il microbiota?
"Con questo termine si intende la diversità delle comunità microbiche che vivono su una pianta o nel nostro corpo. Da non confondere con microbioma, inteso invece come il patrimonio genetico presente in una comunità microbica. Il primo termine indica la varietà dei microbi presenti, il secondo si riferisce al loro patrimonio genetico".

Ogni pianta ha un suo microbiota specifico o questo varia a seconda dell'ambiente in cui si trova?
"C'è una forte relazione tra la singola specie e la comunità di batteri che vive con essa. Tant'è vero che sulle specie selvatiche ritroviamo un gruppo di comunità batteriche che sono presenti su quelle addomesticate e coltivate oggi in tutto il mondo. Tuttavia è anche vero che fattori ambientali possono influire sulla composizione del microbiota. I due fattori, genetica e ambiente, sono altrettanto importanti anche per il microbiota umano".

Quali sono le ricadute di queste scoperte scientifiche sul settore primario?
"Sono estremamente varie. Prendiamo ad esempio la nutrizione. E' noto da anni che ci sono batteri azotofissatori, in grado cioè di rendere disponibile per la pianta l'azoto gassoso. L'uso di questi batteri per le conce delle sementi è diffuso da molti anni: in questo modo le leguminose hanno una minore richiesta di azoto apportato con la fertilizzazione. Ma esempi simili si possono fare anche con altri elementi nutritivi, ad esempio il fosforo grazie ai funghi simbionti micorrizici".

Il microbiota gioca un ruolo solo nella nutrizione o anche nella difesa?
"Già oggi alcuni microrganismi allertano il sistema di difesa delle piante della presenza di patogeni. Altri ne potenziano le difese immunitarie. L'obiettivo è quello di sfruttare questi meccanismi. Ad esempio si stanno studiando alcuni funghi 'buoni' che contrastano lo sviluppo di quelli patogeni che arrecano danni alle colture sia in termini di produttività che di sanità".

Sembrano prodotti fantascientifici che vedranno i nostri nipoti…
"Così non è. Già oggi ci sono sul mercato dei prodotti a base di microrganismi ottenuti sviluppando il concetto di Comunità microbiche sintetiche. Più si va avanti con la ricerca, più saremo in grado di mettere a punto prodotti altamente performanti che avranno un ruolo cruciale nel rendere l'agricoltura più sostenibile e produttiva. Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove non c'è accesso a costose tecnologie, i farmer potranno giovarsi di conce biologiche delle sementi in grado di aumentare le potenzialità nutritive e di difesa della pianta".

I microrganismi sono davvero in grado di rendere superflua la concimazione o la difesa delle colture?
"Occorre cambiare prospettiva. Le varietà oggi disponibili sono state selezionate ai tempi della rivoluzione verde come quelle che rispondono meglio ad un tipo di agricoltura che si basa sull'utilizzo di input chimici esterni. Quello che si sta facendo oggi è selezionare le varietà che sviluppano le sinergie migliori con i microrganismi".

Ci può spiegare meglio?
"È sbagliato pensare di poter applicare ceppi di microrganismi benefici o consorzi sintetici a varietà di piante, pensiamo al mais o al pomodoro, altamente selezionate per avere la massima produttività dopo trattamenti con fertilizzanti e agrofarmaci. Bisogna invece partire a monte, studiando la variabilità naturale delle piante di interesse e selezionando quelle varietà che più beneficiano dall'interazione con i microrganismi. All'interno di un progetto europeo Tomres coordinato dal professore Schubert di Torino cerchiamo di capire come i parentali selvatici di pomodoro rispondano ai funghi simbionti".

Queste nuove varietà potranno quindi fare a meno di fertilizzazione e difesa?
"Farne completamente a meno non credo. Ma sicuramente si ridurrà drasticamente l'uso di input produttivi necessari per ottenere le medesime produzioni, questo perché le piante saranno in grado di nutrirsi meglio e di difendersi in maniera più efficace dagli stress biotici, come funghi e batteri patogeni, e abiotici, come caldo intenso, carenza di acqua o eccesso di stabilità del terreno".

La quantità di microrganismi che vive nel terreno è enorme. Si stima che in un ettaro di campo si arrivi ad avere dieci tonnellate di biomassa composta da batteri. Non c'è il rischio che i microrganismi utili applicati ai semi soccombano nella competizione con quelli autoctoni?
"Questo è sicuramente un tema da tenere presente proprio perché gli studi vengono fatti in laboratorio, in un ambiente protetto, che è molto diverso dal campo reale. Tuttavia le ricerche compiute finora ci dicono che un'associazione tra pianta e microrganismo è efficace, se applicata in tempi precoci, ad esempio a livello di coating. La persistenza dei microorganismi introdotti tende tuttavia a decadere nel tempo".

Sarà necessario modificare geneticamente i batteri o le piante per aumentare l'efficienza della simbiosi?
"Per adesso gli studi si stanno concentrando sul trovare il giusto abbinamento tra pianta e microrganismo. La variabilità presente in natura è così elevata che non è detto sia necessario ricorrere alla trasformazione genetica. Tuttavia, il genome editing da applicare sia alle piante sia ai microorganismi sta aprendo scenari di grande interesse per lo sviluppo di piante e microorganismi, utili anche ad una agricoltura più sostenibile".