La sicurezza alimentare sarà sempre più colpita dai cambiamenti climatici con diminuzione delle rese produttive, aumento dei prezzi, diminuzione della qualità nutrizionale degli alimenti, interruzioni delle filiere alimentari. Assisteremo a effetti diversi in diversi paesi, specialmente nelle regioni tropicali, ma gli impatti più drastici colpiranno gli Stati dove vivono le popolazioni più povere del pianeta, in Africa, Asia, America Latina e nei Caraibi.

Questo l’allarme lanciato dall’ultimo rapporto dell’Ipcc (il panel di scienziati che studiano il clima su mandato dell’Onu) "Cambiamenti climatici e territorio" in cui viene messo in evidenza anche come l’Italia, essendo al centro del Mediterraneo, si trovi in una delle aree più esposte agli impatti del clima che cambia. E tra pochi giorni, anche questi argomenti, saranno il cuore del vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York.

Quello che servirebbe – viene spiegato dal nuovo report - è un’azione coordinata per affrontare i cambiamenti climatici, e migliorare la situazione generale e contemporaneamente il territorio, la sicurezza del cibo e dell’alimentazione, e aiutare a ridurre il numero delle persone che al mondo ancora oggi soffrono la fame. I cambiamenti climatici interessano i quattro pilastri della sicurezza alimentare: la disponibilità (produzione e resa), l’accesso (prezzi e capacità di ottenere cibo), l’utilizzo (nutrizione e cucina) e la stabilità (interruzioni della disponibilità).

Sulle emissioni di CO2 i settori che hanno a che fare con il territorio (agricoltura, foreste e altri usi del suolo) sono responsabili del 23% delle emissioni totali, una cifra che arriva al 37% se si includono i processi di trattamento dei prodotti alimentari. L’offerta di cibo pro-capite è aumentata del 30%, le risorse idriche impegnate per irrigazione sono aumentate del 100%, mentre dell’800% è cresciuto l’uso di fertilizzanti, e le aree naturali convertite in agricoltura sono 5,3 milioni di chilometri quadrati, corrispondenti a poco meno della superficie di tutta l’Europa continentale (esclusa la Russia europea) con un consumo idrico per l’irrigazione pari al 70% del consumo umano totale di acqua dolce. Allo stesso tempo, lo spreco alimentare pro capita è aumentato del 40% e corrisponde attualmente al 25-30% del cibo prodotto, che contribuisce all’ 8–10% delle emissioni del sistema alimentare.

Le emissioni sono prevalentemente dovute alla deforestazione, parzialmente compensate da imboschimenti e rimboschimenti e da altri usi del suolo. L’agricoltura è responsabile di circa la metà delle emissioni di metano indotte dall’uomo ed è la principale fonte di protossido di azoto, due gas ad effetto serra molto potenti. La biosfera terrestre assorbe quasi il 30% delle emissioni antropogeniche di CO2 grazie ai processi naturali.

L’aumento delle temperature però sta influenzando la produttività agricola a latitudini più elevate, aumentando le rese di alcune colture (mais, cotone, grano, barbabietole da zucchero), mentre rese di altre colture (mais, grano, orzo) sono in calo nelle regioni a latitudine inferiore.
Il riscaldamento, aggravato dalla siccità, ha causato una riduzione della produttività nell’Europa meridionale. Il cambiamento climatico sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del Pianeta, in particolare in Africa, e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America. In futuro il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulla resa agricola, la qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi alimentari. E’ previsto un aumento fino al 23% per il 2050 rispetto agli scenari senza cambiamento climatico.

Se da un lato un aumento contenuto della concentrazione della CO2 atmosferica potrebbe migliorare la produttività delle colture, dall’altro diminuisce la qualità nutrizionale di alcuni alimenti (per esempio, il grano coltivato a concentrazioni di CO2 in atmosfera maggiori di circa il 32-42% rispetto alle attuali si può avere il 5,9-12,7% di proteine in meno, 3,7–6,5% in meno di zinco e 5,2–7,5% in meno di ferro).
In questo contesto, fattori climatici contribuiscono a mettere sotto stress il sistema, con conseguenti influenze sulla sicurezza alimentare, e cioè sulla capacità delle persone, a livello globale, di avere disponibilità di cibo, di poterlo utilizzare, di potervi accedere in maniera stabile e costante.

Comportamenti che incidono sulle abitudini alimentari, ossia sulle diete possono avere un impatto considerevole sulle emissioni di gas serra. Riducendo il consumo di carne, in particolare carne rossa, e di latticini ai livelli definiti dall’Organizzazione mondiale della sanità possiamo fare molto per contenere i cambiamenti climatici e migliorare le condizioni di salute. Tra le varie diete considerate dagli scienziati dell’Ipcc, la dieta mediterranea è una delle più virtuose.
Per questo, viene messo in evidenza dal report, l’agricoltura sostenibile e i piani di adattamento ai cambiamenti climatici possono essere il motore per un settore produttivo di qualità, con al centro come protagonisti il cibo, le abitudini alimentari, l’uso sostenibile del suolo.